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Il bue dei Grassi-Òe e le panzane del suo padrone

  • Immagine del redattore: libreriadelchiese
    libreriadelchiese
  • 22 gen 2016
  • Tempo di lettura: 1 min

La visita della statunitense Danielle a Storo negli ultimi giorni del 2014 fu l’occasione per ricostruire la storia della famiglia Grassi-Òe, da cui proveniva la sua trisnonna. In questo contesti è uscita anche il ricordo del “bò de Òe” (bue della famiglia Grassi), che a metà del Novecento era l’unico in paese e divenne proverbiale per indicare la forza di un animale e una persona: “l’é gaiart comà l bò de Òe” (è forte come il bue della famiglia Grassi).

A guidarlo in campagna era Francesco (Chechì), proprietario di una delle case contadine più signorili, ma oggi più trascurate, del centro storico. Un fratello (Bortolo) e due sorelle (Anna e Maria) erano emigrati negli Stati Uniti, terza sorella (Rosa Francia.

Anche Chechì diventò proverbiale in paese, non tanto per la forza, che non gli mancava, ma per le inverosimili panzane che inventava. A conti fatti erano delle creazioni artistiche e rivelavano una fantasia pari a quella di chi scrisse “Le avventure del barone di Münchhausen”. Raccontò ad esempio di aver perso nel bosco di Pice un orologio, che aveva perfettamente riparato usando la “punta da flocàcia” (la punta della roncola), anche se gli erano avanzate alcune viti; quando dopo la Grande Guerra tornò sulla montagna, sentì un tic-tac e vide il vecchio orologio appeso a un ramo.

Storo 1950, Francesco (Chechì) Grassi-Òe col suo bue, dietro il figlio Pietro (Perolì) con sua moglie Martina e i figli Francesco (Ceschino), Bruno e Anna.


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